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Europa: un Nobel per la Pace ancora da meritare

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nobel paceUn paio d’anni fa il matematico Piergiorgio Odifreddi si domandava: Non sarebbe forse meglio riconoscere, come fece Jean Paul Sartre quando rifiutò il premio Nobel per la letteratura nel 1964, che in entrambi i casi (pace e letteratura) si tratta di decisioni fortemente politiche? E che la cosa non può che essere cosí, perchè dovunque mancano criteri oggettivi di scelta, non si può procedere che in maniera soggettiva?

Senza questa premessa, sarebbe difficile spiegare l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace per il 2012 all‘Unione Europea.
Secondo la motivazione ufficiale: “L’Ue ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa. Oggi una guerra tra Germania e Francia sarebbe impensabile, ciò dimostra che con la reciproca fiducia nemici storici possono diventare partner. La Caduta del Muro ha reso possibile l’ingresso dei Paesi dell’Europa centrale e orientale… così come la riconciliazione nei Balcani e il possibile ingresso della Turchia rappresentano un passo verso la democrazia”.

Innegabile. l’integrazione europea ha posto fine a secoli di scontri nel Vecchio Continente, gettando poi le basi per mezzo secolo di prosperità – ne parlavo approfonditamente qui. Poi qualcosa si è rotto; o meglio, non è stato più possibile mascherare le lacune e le contraddizioni. E così l’Europa di oggi, lacerata dalla frattura sempre più profonda tra formiche del Nord e cicale del Sud (se ne occupa l’ultimo quaderno speciale di Limes), è quanto di più lontano dall’esempio di unità e cooperazione che ha cercato di rappresentare fin dagli albori. Basta pensare a ciò che è successo ad Atene pochi giorni fa, in occasione della visita di Angela Merkel, per rendersene conto.

AsiaNews mette in luce i paradossi di questa assegnazione, con una chiave di lettura finale:

Jagland [capo del Comitato del Nobel] si è affrettato a precisare che il premio è anche dato perché l’Ue ha contribuito per “sei decenni al progresso della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”.
Ma anche per questo aspetto, forse dovremmo ricordare e batterci il petto per la lentezza e l’immobilità con cui l’Europa si è mossa davanti ai massacri della Bosnia, o alla superficialità con cui è intervenuta nel Kossovo. E in più, dovremmo ricordare gli imbarazzanti – almeno per noi cattolici e per gli uomini di buona volontà – atteggiamenti dell’Ue nel lanciare le sue campagne “anti-discriminatorie” in difesa delle unioni di fatto; dei diritti sulla salute riproduttiva (che spesso sottintendono anche l’aborto); del Vaticano accusato di “discriminazioni” sul sacerdozio alle donne; delle vocazioni monastiche sospettate di “lavaggio del cervello”.

In qualche modo, questo premio Nobel per la Pace è controverso come quello dato a Barack Obama tre anni fa, a lui assegnato in base “all’intenzione” di fare qualcosa per il Medio oriente e per il problema israeliano-palestinese: un’intenzione a cui non è seguita alcuna azione, anzi, è avvenuto il boicottaggio del riconoscimento della Palestina come membro dell’Onu.
Forse anche il Nobel di quest’anno è a favore di Obama. In fondo, il suo concorrente, Mitt Romney, ha promesso il pugno duro verso Pechino e un maggior interventismo nel Medio oriente. Ma questa non è la politica voluta dalla Ue. Che esaltare il lavoro “per la pace” della Ue sia un modo per suggerire: “Votate Obama?”.

Più realisticamente, il premio all’Europa non è altro che un messaggio all’Europa stessa. La commissione di Oslo non ha sbagliato a riconoscere i meriti della costruzione europea; se mai, verrebbe da dire, ha sbagliato il momento. O forse non poteva essere il momento più giusto: in effetti, l’assegnazione arriva proprio ora che l’Europa ha cominciato a dubitare di se stessa. E molti sostengono che in un periodo così complicato, il premio potrà incoraggiare chi ancora crede nell’integrazione.
Per questa ragione Lucio Caracciolo su Limes auspica che il premio serva a riaprire il dibattito sulle ragioni che ci uniscono o ci dividono quando parliamo di Europa, non senza un pizzico d’ironia:

Finalmente avremo la risposta alla celebre domanda di Henry Kissinger: “qual è il numero di telefono dell’Europa?”.
Quando il rappresentante (Barroso? Van Rompuy? Il presidente di turno? E che fare della baronessa Ashton?) dell’Unione Europea andrà a rititrare il premio Nobel per la pace appena assegnatogli dal Comitato di Oslo, avremo definito una questione che ci trasciniamo dalla nascita del progetto comunitario, ossia chi ne sia il titolare.
Risolta questa curiosità, l’assegnazione del premio Nobel per la pace all’Unione Europea sarà anche un’utile occasione per riflettere sul senso di questa nostra impresa. La crisi economica e finanziaria ci ha fatto dimenticare la ragione di fondo per la quale sei paesi firmarono a Roma, nel 1957, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea: la pace.
È interessante osservare che la dichiarazione di Thorbjørn Jagland, presidente del Comitato per il Nobel, inizia evocando la riconciliazione tra Francia e Germania. Questo era il cuore geopolitico del progetto comunitario, questo resta ancora oggi l’aspetto strategico più rilevante dell’assetto europeo.
Ai molti paradossi che segnano la storia dell’Unione Europea, se ne è così aggiunto oggi un altro: l’assegnazione del premio Nobel nella capitale di un grande paese europeo che si è rifiutato per referendum di aderire all’Ue.
È anche notevole che nella motivazione si faccia riferimento all’integrazione di Spagna, Portogallo e Grecia dopo il collasso dei rispettivi regimi autoritari. Un curioso elogio ai Pigs.
Infine, in un tentativo di proiettare in avanti gli effetti di pace e riconciliazionegià ottenuti all’interno dell’attuale assetto geopolitico comunitario, il comitato indica nei Balcani il futuro terreno di coltura della vocazione pacificatrice europea.
Sarà naturalmente la storia a stabilire quanto fondata sia l’assegnazione del premio Nobel all’Unione Europea.
Speriamo comunque che questo meritato premio possa offrire finalmente occasione non solo per celebrazioni ma soprattutto per dibattere le ragioni di fondo che ci uniscono o ci dividono quando parliamo di Europa.

Oggi l’Europa è un ammasso di Stati più o meno in bancarotta e in conflitto tra loro, il cui progetto più ambizioso, l’unione monetaria, sta per crollare, e in cui i Paesi poveri e in difficoltà subiscono l’arroganza della Germania, e in generale dei Paesi più forti. L’assegnazione del Nobel per la Pace è un chiaro invito ai 27 ad impegnarsi ulteriormente per evitare la fine di questo progetto. E dunque, a darsi da fare per meritare a posteriori questo Nobel così controverso.
Chissà, si chiede la commentatrice Tereza de Souza, se i leader europei presteranno sufficiente attenzione al premio. Evitando di lasciarlo appannare, come quello che giace impolverato nello studio di Obama.

Fonte: http://geopoliticamente.wordpress.com/